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In un libro di Alessandro Macciò la storia della crescita delle imprese dell’area del Livenza. La Arblu di Fontanafredda è stata tra le prime a puntare sull’arredo della stanza da bagno

Una storia che vede protagoniste piccole realtà artigiane, poi divenute dei colossi riconosciuti oltre i confini nazionali, che hanno fatto della lavorazione del legno il proprio modello di business, dando vita col tempo al distretto del mobile e del legno del Livenza.


Un cluster di imprese dal valore, tra Veneto e Friuli, di circa un miliardo di euro. Nel suo libro “L’evoluzione del distretto del mobile. Il caso Arblu” (Post Editori), il giornalista Alessandro Macciò, bergamasco trapiantato a Padova dal 2007, redattore dei quotidiani VeneziePost, EmiliaPost e LombardiaPost, racconta l’evoluzione del distretto partendo proprio dal caso Arblu di Fontanafredda, tra le realtà più storiche del territorio.

Premesso che il primo distretto italiano del mobile nasce in Brianza a fine Ottocento, con Lissone capitale, nel comprensorio del fiume Livenza i primi mobilifici risalgono agli anni Venti del Novecento, sorti nelle campagne di Ghirano (Prata di Pordenone) e a San Cassiano di Livenza (Brugnera). In questa prima fase le produzioni erano di natura artigianale, con mobili realizzati a mano e prevalentemente su commissione.


Il boom arriva negli anni Cinquanta: durante la ricostruzione post-bellica la domanda di arredamenti per la casa era aumenta esponenzialmente. Pertanto, molti operai decisero di mettersi in proprio aprendo attività specializzate anche nella realizzazione di un’unica componente. In questi anni la concentrazione delle aziende era localizzata tra Brugnera, Pasiano e Prata di Pordenone, un’asse che diventa nota come il triangolo del mobile.


Tra gli anni Settanta e Ottanta l’apertura ai mercati esteri e la ricerca di figure sempre più qualificate e dotate di competenze specifiche; si assiste, inoltre, all’arrivo dell’automazione e alla diminuzione del lavoro manuale. Negli anni Ottanta il distretto conta circa quattrocento imprese e, in questo periodo, le nuove tecnologie e le macchine a controllo numerico diventano parte integrale delle aziende. Il decennio successivo la concorrenza dei grandi colossi, quali Ikea, ha portato tanti mobilifici alla chiusura; per far fronte alla concorrenza si aprono nuovi fronti esteri. In questa fase, gli imprenditori più lungimiranti hanno colto una tra le svolte più importanti del settore mobile: la riscoperta della stanza da bagno, non più vista come uno spazio secondario ma come un ambiente da arredare con sempre più cura.


Arblu, come racconta nel libro Macciò, è stata tra le prime aziende a notare questo cambio di paradigma. «Tutto è nato dall’intuizione di mio padre» spiega l’attuale titolare Giuseppe Presotto «è stato capace di cogliere l’importanza del ruolo che stava assumendo nei consumatori l’arredo della stanza da bagno e si è specializzato proprio in quel settore. Quando parlo di arredo mi riferisco a mobili in genere, box doccia, rivestimenti e rubinetteria. Essendo tra i primi in Italia a cogliere questa opportunità abbiamo avuto un forte vantaggio competitivo, che ci ha permesso di superare limitando il più possibile i danni della crisi a venire. Devo dire che la cura verso la stanza da bagno è una tendenza che tuttora esiste. Nel frattempo, è cresciuta anche la nostra sensibilità verso le tematiche ambientali che cerchiamo di tramandare ai nostri consumatori. Purtroppo notiamo che, giovani esclusi, le persone non hanno ancora a cuore questo aspetto».

L’arrivo della crisi nel 2008 ha avuto forti ripercussione sul distretto, che dal 2009 al 2014 ha visto la perdita di circa 2.500 posti di lavoro. Tra Prata, Brugnera e Pasiano chiudono 78 aziende, tra cui Jesse, Verardo, Pegolo, Florida e San Tiziano, alcune tra le più grandi e rinomate. Dal 2012 al 2014 nelle province di Treviso e Pordenone sono 88 le realtà cessate. Superati gli anni della crisi il distretto comincia la graduale ripresa, dando nuovamente slancio al mercato estero e alle nuove assunzioni. Oltre alla crisi, sulla chiusura delle

aziende hanno influito anche gli investimenti poco lungimiranti di alcuni imprenditori, che hanno dirottato una parte dei ricavi in altre forme di business, soprattutto in campo immobiliare. Al giorno d’oggi il distretto guarda con molta attenzione ai temi del digitale e della sostenibilità con investimenti ad hoc. Attualmente il comparto arredo bagno italiano conta 462 aziende e vale 3,9 miliari di euro, di cui 504 milioni prodotti in Veneto, che conta 68 aziende, e 381 milioni in Fvg, con una trentina di realtà operative.


di Edoardo Anese

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