Al di qua del Po si è sviluppato, libero e un po’ selvaggio nella sua fase di espansione, lo spirito di un capitalismo molto legato al territorio di riferimento, ma individualista e un po’ anarchico; al di là del grande fiume, invece, è cresciuto un «Sistema dei produttori», spesso in stretta connessione con la politica locale, dove sono prevalsi uno spirito e una visione di comunità. Di qua il Veneto bianco e poi verde-leghista, di là l’Emilia rossa, regioni così vicine eppure così profondamente diverse.
Se un modello esiste, quello emiliano ha indubbiamente alcune peculiarità che ne sottolineano il successo: qui l’export pro capite batte inesorabilmente quello di altre grandi regioni industrializzate (compresa la cosiddetta locomotiva veneta); qui le imprese Champion sono cresciute, in termini dimensionali, più delle altre; sempre qui alcuni territori sono in grado di attrarre talenti, tanto da registrare saldi positivi del movimento migratorio che neppure Milano riesce ad avere; per non dire del tasso di occupazione femminile, superiore alle altre regioni del nuovo triangolo industriale (Lombardia e Veneto), o della capacità di attrarre gli investimenti di grandi multinazionali, europee ed americane.
L’analisi del «Modello Emilia» è al centro del nuovo libro dell’economista Franco Mosconi, che l’ha presentato ieri, nella libreria padovana dell’editore di Italy Post, in dialogo con l’imprenditore Alberto Baban e il direttore di Local Area Network Luca Romano, moderati da Alessandro Russello, responsabile del Corriere del Veneto . Inevitabile e stimolante, ne è scaturito un confronto a più voci sull’attualità dei diversi Nordest, a nord e a sud del Po.
Allora proviamo a raccontarlo, questo modello, che sembra indicare una strada all’industria italiana per continuare a crescere. Sottolinea Mosconi: «Io sono affezionato al sottotitolo: imprese innovative e spirito di comunità, perché coglie l’essenza. Parliamo del futuro Tecnopolo, dell’Emilia capitale della meccatronica unita al digitale, di tutti i settori tradizionali, che hanno subito un upgrading qualitativo notevolissimo. Al di là di ogni dubbio, è una regione innovativa. Ma conta molto lo spirito di comunità, cioè questa attitudine a cooperare tra imprese per progetti utili alla collettività: hanno obiettivi di sistema e lavorano insieme. Anche il ruolo della Regione è importante: si è data 4-5 leggi forti, a cominciare da quelle sull’attrazione degli investimenti e dei talenti. Non è l’Emilia felix , le diseguaglianze ci sono, ma è terreno fertile per l’attività imprenditoriale».
Un uomo d’impresa come Alberto Baban emette il verdetto: «I primi anni Venti del Duemila li ha vinti l’Emilia, non c’è dubbio. Hanno sicuramente vinto con l’unicità che deriva dall’evoluzione del modello cooperativistico, hanno vinto con le multiutility, il sistema nel suo complesso bisogna dire che ha funzionato». Lo incalza Russello: allora qual è il limite del Veneto? Dovrebbe copiare dall’Emilia? Baban rispondere così: «Lì ha funzionato di più la parte politica e di integrazione accademica, ha funzionato di più il sistema. Copiare dall’Emilia sarebbe molto interessante, ma io copierei il sistema. Quanto ai modelli, resto dell’idea che non si possano replicare. Oggi viviamo un’epoca in cui esistono aziende capaci di ottenere risultati straordinari, direi quasi incredibili, da un anno all’altro. Ebbene, io dico che in 8 casi su 10 questi imprenditori sono stati soprattutto straordinariamente fortunati». Il «fattore C» applicato all’economia, insomma.
Osserva Luca Romano: «Il Veneto non ha avuto la stessa forza nel sistema delle fiere e delle multiutility , non ha avuto lo sviluppo dell’economia cooperativa; ciò nonostante l’industria veneta mantiene un livello di forza notevole e non è in declino. Quello che va detto e che l’Emilia ha stra-superato il Veneto in un solo settore: la meccanica e meccatronica, un sorpasso talmente forte che non si parla del fatto che, negli altri settori, il Veneto è ancora davanti. Nell’alimentare, per dire, una cosa come il Prosecco loro non ce l’hanno e non l’avranno mai. Sul fronte delle imprese, la strategia per riportare il Veneto a un livello di leadership potrebbe essere di convergere su progetti di medio raggio: qui l’Emilia presenta aggregazioni che hanno una potenza attrattiva maggiore. Noi veneti abbiamo migliaia di imprese che cercano figure professionali e non riescono più ad attrarre i giovani che escono dalle scuole tecniche o dalle università».
La chiusura di Mosconi cerca di rispondere alla domanda delle domande: «Cos’è alla fine che fa la ricchezza di una regione o di una nazione? Oggi – è la risposta dell’autore – vale la teoria della crescita endogena, cioè vincono gli investimenti in conoscenza».